Uno dei più memorabili “tormentoni” estivi che si ricordino (non certo per la “scala musicale”: ma l’estate non sarebbe estate senza il suo “tormentone”) è una canzone di un gruppo torinese (chi non ricorda i Righeira…..), pubblicata quasi 40 anni fa, “L’estate sta finendo”. Quindi direi assolutamente attuale.
Come sempre, la fine dell’estate (quella delle vacanze) trascina con sé la ripresa di ogni attività, che sia imprenditoriale, lavorativa e, ovviamente, politica. In realtà, quest’ultima, in vacanza ci va poco, visto le polemiche che in queste settimane si sono susseguite su un tema “sensibile” come lo “Ius Scholae”, che si contestualizza, indubbiamente, ad una “questione interna”, ma che, peraltro, assume un carattere ancora più importante se pensiamo, per esempio, alla crisi demografica che sta attraversando il nostro Paese: infatti, si prevede che, se, nei prossimi anni, le cose non dovessero cambiare (un cambiamento che per forza di cose dovrà essere “indotto” da politiche per la famiglia che possano tornare a favorire le nascite), il ruolo dei flussi migratori sarà sempre più fondamentale, e per permettere lo svolgimento dei lavori che molti lavoratori italiani non vogliono più svolgere e per consentire ai conti dell’INPS di “reggere” conti altrimenti in “profondo rosso”.
Un po’ diverse, invece, le parole del nostro Ministro dell’Economia, Giancarlo Giorgetti, che, parlando, tanto per cambiare di PNRR si è lasciato andare ad una dichiarazione che non deve essere passata inosservata ai vertici della UE e a molte cancellerie europee, paragonando i progetti del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza ai piani quinquennali dell’Unione Sovietica, da una parte esempio di “dirigismo” politico che non ammette repliche, dall’altra non certo modello di efficienza e modernità.
Questione delicata quella del PNRR, vuoi per le cifre in ballo (ricordiamole ancora una volta: circa € 750 MD, di cui circa 200 MD destinati al nostro Paese, il maggior “beneficiario” degli stanziamenti) vuoi per le implicazioni politiche e la “credibilità” che ne derivano. Ormai non rimangono neanche 2 anni per portare a conclusione i progetti (in gran parte già “spesati”, vale a dire che abbiamo già ricevuto gli stanziamenti UE) presentati. Da qui le preoccupazioni dell’esecutivo, nel timore che i tempi siano impossibili da rispettare: e sempre da qui la volontà, già manifestata, di richiedere un “allungamento” dei termini. In questo contesto, probabilmente, va “inquadrata” la sortita del nostro ministro dell’economia. I cui “pensieri”, peraltro, cominciano ad essere rivolti anche alla nuova Legge di Bilancio, che si preannuncia, nuovamente, non semplice da varare, per quanto le entrate tributarie stiano aiutando non poco i conti statali (si calcola che gli “incassi” siano aumentati, nei primi 7 mesi dell’anno, di circa € 13 MD).
Un aiuto (non solo per noi, a dire al vero, ma per noi l’importanza sarebbe maggiore, visto il “macigno” che grava su di noi) arriverà indubbiamente dalla oramai scontata riduzione dei tassi: oramai anche Powell, come noto, sì è convinto che il tempo dell’attesa è finito: con settembre, quindi (17-18 settembre) la FED darà il via ai ribassi (stimati 3 da qui alla fine dell’anno, almeno per 0,75%, anche se qualcuno si spinge all’1%, con un taglio, a novembre, dello 0,50%). Abbandonate le paure per un “colpo di coda” dell’inflazione oggi a “guastare” il sonno (a dire il vero neanche più di tanto) del Presidente della FED è il mondo del lavoro, con la disoccupazione americana arrivata al 4,3% e i nuovi occupati inferiore alle previsioni, come hanno confermato i numeri dall’aprile 2023 al marzo 2024. E anche le polemiche di Trump in merito alla decisione della Banca Centrale di ridurre i tassi (a suo parere favorirebbe in modo evidente il Partito Democratico, e quindi Kamala Harris) sembrano piuttosto strumentali: infatti, dal 1980 ad oggi, a parte nel 2012, la FED è sempre intervenuta in materia di politica monetaria, 5 volte alzando i tassi e 5 volte diminuendoli, a conferma della sua assoluta indipendenza rispetto al potere politico. E’ vero, peraltro, che la diminuzione dei tassi dovrebbe portare con sé buone notizie per quanto riguarda i mercati azionari, che potrebbero continuare la loro marca verso la ripresa dei massimi di inizio-metà luglio, per poi lanciare la “volata” di fine anno. E, conoscendo la predisposizione dei risparmiatori USA verso il “risk on”, questo potrebbe tradursi in una percezione di maggior benessere che permetterebbe all’attuale Amministrazione in carica di prendersene il merito.
Questa mattina mercati asiatici contrastati.
Il Nikkei di Tokyo “lima” dello 0,86% sulle voci di nuovi probabili incrementi dei tassi giapponesi.
Andamento analogo per Shanghai, anche se in questi minuti è vicina alla parità (– 0,11%).
In controtendenza a Hong Kong l’Hang Seng, a + 0,94%.
In rialzo (+ 0,6%) Sidney, mentre il Kospi di Seul ha chiuso sulla parità.
Futures appena sopra la pari a Wall Street; in leggero ribasso, invece, quelli europei.
In cerca di recupero il petrolio, con il WTI che si riporta sopra i $ 75 (75,48, + 0,78%).
Gas naturale USA a $ 2,025 (- 0,05%).
Oro che torna sui massimi ($ 2.527, + 0,11%).
Spread a 133,5, con il BTP al 3,56%, sui minimi dell’anno.
Bund a 2,22%.
Treasury a 3,79%.
Continua la debolezza (relativa) del $, a 1,1186 verso €.
Ulteriore balzo avanti del bitcoin, a $ 64.065 (+ 0,7%).
Grazie come sempre per l’attenzione.
Ps: il “non piangersi addosso”, in qualsiasi campo, da sempre è un’ottima cura. Lasciare spazio all’orgoglio e alle buone cose che ci capita di fare aiuta il morale e forse ancor di più rende meno difficile il futuro. Nei primi 6 mesi del 2024 il nostro Paese ha superato, per la prima volta, il Giappone tra i maggiori Paesi esportatori. Al primo posto la Cina (1.572 MD), seguita dagli USA, con 945 MD (che si confermano i maggiori consumatori ma non il più grande esportatore, pur essendo la prima economia al mondo). La Germania, nonostante la crisi che sta soffrendo da qualche anno, si conferma al 3° posto, con 801 MD. E poi arriviamo noi, a quota 316 MD, con il Giappone che invece, pur con la debolezza dello yen, si è fermato a 312 MD. Ancora una volta, nothing impossible.